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Sosa: “La moglie grafologa e la scommessa con Pellegrini. La Uefa del ’94 vale come una Champions”

Alessandro De Felice

Le dichiarazione dell'ex calciatore uruguaiano dei nerazzurri ai microfoni del quotidiano Tuttosport

Ruben Sosa è tornato in Uruguay ma il suo amore per l'Italia e per l'Inter è rimasto intatto a distanza di anni. L'ex calciatore nerazzurro ha ripercorso le tappe della sua carriera ai microfoni di Tuttosport: "Il primo impatto con la Serie A? Difficile. Sono arrivato ragazzino in Spagna, ho vinto una Coppa del Re con il Saragozza, ma se è vero che noi uruguaiani abbiamo il calcio nel sangue, dal punto di vista fisico dovevo ancora farmi. Sono diventato più forte e la Lazio ha creduto in me che ero appena ventenne: lì ho fatto 4 stagioni splendide. La Serie A per me era splendida anche perché giocavi con e contro campioni grandissimi: al Napoli c’erano Maradona e Careca, il Milan aveva gli olandesi, l’Inter prima di me aveva i tre tedeschi, tra gli italiani c’era Roberto Baggio. Tutti fenomeni. Menomale che la fame uruguaiana ha fatto sì che iniziassi a segnare subito".

L'arrivo all'Inter e un particolare retroscena: "Sicuramente è stata la squadra più forte in cui ho giocato. Un trasferimento tutt’altro che facile: con il mio procuratore, Paco Casal, ero andato a casa del presidente, Ernesto Pellegrini. Sua moglie era esperta di calligrafia e vedendo un mio autografo aveva sconsigliato di mettermi sotto contratto. Allora io ho detto al presidente: facciamo un patto, se faccio almeno 20 gol, lei mi dà i soldi che dice il procuratore, se ne faccio di meno, decida lei una cifra, ma chiudiamo perché io voglio fare gol con la maglia dell’Inter. Tutte e tre le stagioni che ho vissuto a Milano sono state straordinarie. Quello che mi colpiva di più era vedere tutte quelle persone al Meazza. Giocare con dei fenomeni in una cornice così, è stato straordinario".

La stagione 1993/1994 fu molto particolare: "Ricordo che quasi rischiamo di finire in Serie B, ma alla fine abbiamo vinto la Coppa Uefa. Per me, quella coppa vale come una Champions. L’anno prima per poco non vincevamo lo scudetto, siamo arrivati secondi anche perché non siamo riusciti a vincere il derby. Così aver vinto quella Uefa è stato un po’ il coronamento della mia avventura in nerazzurro. Il ricordo più bello? Sì. Perché volevo vincere qualcosa da interista, per lasciare un ricordo di Rubén Sosa e poter dire: ho vinto con la maglia dell’Inter".

Sosa ha poi parlato dell'addio all'Inter e il rapporto con l'Italia: "Io credo che all’Inter sono andato via al momento giusto perché non avrei potuto più dare tutto. Il ginocchio che aveva già subito tre interventi mi faceva male. È stato anche un atto di rispetto nei confronti del club e dei tifosi. Come l’Italia nessuno, è la mia seconda casa. Guardo il calcio italiano, ho lasciato moltissimi amici. Mi trovo benissimo pure adesso. Io credo che quando avrò ottant’anni i tifosi dell’Inter e anche quelli della Lazio, mi ricorderanno lo stesso, perché quello di particolare che hanno i tifosi italiani è che per loro un calciatore è come se non smettesse mai di giocare, viene accolto sempre con lo stesso affetto".