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La Gazzetta dello Sport ha intervistato, in vista della sfida Juve-Inter di domani sera, il doppio ex Paulo Sousa:
Domani Juve-Inter: vista da fuori, ha lo stesso sapore di quando la giocava lei, più di vent’anni fa?
«In un certo senso, ma i ruoli si sono ribaltati: quando arrivai alla Juve non vinceva da nove anni, l’Inter non vince da otto».
Quanto è vicina Juve-Inter al meglio del calcio italiano?
«La metterei diversamente: mi pare di vedere che il calcio italiano si stia sforzando di migliorare, di proporre un gioco più offensivo, e questa partita può essere un segnale del cambiamento di approccio. A me piace il pragmatismo italiano del cercare anzitutto il risultato attraverso la ricchezza tattica, ma vent’anni fa tutti volevano giocare in A per la bellezza del suo calcio. E per me bellezza è difendersi bene, ma prima ancora esporsi per attaccare».
La sua anti-Juve, a fine agosto?
«Non una sola. Il Napoli, la Roma, anche il Milan e sicuramente l’Inter: ha un leader esigente come Spalletti e la Champions le ha permesso investimenti per far crescere la rosa dal punto di vista fisico, tecnico, di esperienza e mentalità vincente».
Allenando in Cina ha conosciuto più da vicino l’impero Suning.
«E ho capito che per Suning investire nel calcio italiano, che lì è il più seguito, era un mezzo quasi obbligato per accrescere la sua potenza».
Eppure quest’anno vincerà ancora la Juve, pare di capire
«Probabilmente sì. Credo che la Juve non abbia mai avuto una rosa così forte per numero, qualità e diversità dei giocatori: può cambiare sistema di gioco come e quando vuole; Allegri ha una grande capacità, tiene sempre acceso il fuoco in tutti i suoi; il club crea l’equilibrio che fa andare tutti nella stessa direzione. No, non credo che la Juve calerà».
Quindi questo Juve-Inter non cambierà nulla?
«Non per la Juve, molto di più per l’Inter: può convincerla di poter tenere, in 90’ e poi in tempi relativamente brevi, il passo della Juve. La rosa che sta costruendo è per camminare un po’ alla volta in questa direzione».
Quanto tempo servirà per «raggiungere» questa Juve?
«Non è solo questione di tempo: devi cambiare il meno possibile, anche a livello di club e di chi, nel club, conduce il progetto sportivo. L’Inter negli anni ha cambiato tanto, non so se la scelta di Marotta sia mirata in questo senso».
Puro parere calcistico: cosa manca all’Inter per avvicinarsi?
«Un esterno forte, un cambia-partita: sinistro o destro, ma che salti l’uomo, rompa la pressione per andare fra le linee o a crossare».
E Perisic?
«Affidabile nelle due fasi: potenza, verticalità, calcio con i due piedi, può diventare anche una seconda punta. Ma l’esterno che dico io è più “puro”».
Potrebbe essere Chiesa, che lei fece esordire in A?
«Federico ha grande capacità esplosiva e l’uomo lo punta, sempre».
Per il suo futuro: meglio l’Inter o la Juve, nel caso?
«La Juve ha già due giocatori per ruolo di grandissima qualità: non posso sapere quanto lo farebbe giocare Spalletti, ma credo che nell’Inter potrebbe diventare più importate. E trovare una squadra che crea tante occasioni da gol: ovvero ciò che aumenta la capacità realizzativa di un giocatore che ha gol nei piedi come Federico».
Da allenatore cosa ha sofferto di Allegri e Spalletti?
«Ho sofferto di più Luciano: era più versatile nel decidere quale sistema di gioco usare, quanti giocatori destinare alle varie linee. La sua valorizzazione dei ragazzi che allena la vedo nella fase offensiva: con quella cercava di mettermi in difficoltà. Nelle partite contro Allegri eravamo sempre riusciti ad avere controllo nei cinque momenti che giudico fondamentali: organizzazione offensiva e difensiva, transizione a pallone perso e recuperato e calci da fermo. Però soffrimmo la capacità di fare la differenza dei suoi giocatori più forti».
Dove e come può imporsi tatticamente Allegri, dove e come Spalletti può dargli fastidio?
«La novità di Allegri, che è stata di Guardiola, è chiedere agli esterni di andare molto in mezzo al campo: fino a farli anche diventare mezzali, come si è visto con Cuadrado e Bernardeschi, che così possono fare addirittura più male. Come dicevo prima, oggi Spalletti è meno imprevedibile: sa cambiare, ma cambia meno. Ha un anno di lavoro in più e i giocatori che ha chiesto: questo ti dà forza. Così ora la sua Inter è più stabile, con un’idea di calcio più chiara e dinamiche diverse soprattutto sulle fasce».
Un esempio?
«Vecino: mi sforzai per convincerlo - lui non lo era - di poter arrivare a un livello alto. Con Spalletti sta perfezionando l’occupazione degli spazi: ha gamba, corsa e ora la possibilità di arrivare in area più spesso, soprattutto da destra».
L’arma-vittoria della Juve e quella dell’Inter?
«La Juve ha tanti modi per vincere: capacità difensive del suo blocco medio-basso, ripartenze micidiali, tecnica sulle palle inattive e in fase di costruzione un gioco più ricco, dinamico, non più prevalentemente verticale. Anche l’Inter ha un blocco difensivo molto solido, è forte fisicamente, ha giocatori che prendono decisioni individuali importanti e sa soffrire: la vittoria sul Tottenham dimostra che può trasformare i momenti di difficoltà in momenti di motivazione. E poi ha Icardi».
Le piace?
«Molto, soprattutto vedere come interagisce con i compagni e gli avversari: per come sa capire i tempi di gioco e costruirsi quasi da solo le sue palle-gol, gli spazi per finalizzare, è uno dei migliori centravanti del mondo».
Gli altri portoghesi di Juve-Inter: Cancelo e Joao Mario.
«Se pensi a un gioco molto offensivo, oggi non c’è laterale migliore di Cancelo per provare a vincere. Alla Juve serviva un portoghese per prendersi la Champions, con due ha ancora più possibilità... Joao Mario è cresciuto molto all’Europeo: difendendo come esterno, attaccando nei corridoi centrali. Gli manca l’ultimo step di maturazione, importante per il suo ruolo: aumentare il numero di gol e di assist».
Un Paulo Sousa manca più alla Juve o all’Inter?
«Al calcio di oggi mancano centrocampisti che sappiano leggere bene il passaggio rischioso, quello in profondità che rompe le linee, anticipando il centesimo di secondo: Pjanic lo è più di Brozovic».
Ripensi ai due anni alla Juve e ai due anni all’Inter: qualcosa di cui si pentì?
«Gli ultimi sei mesi alla Juve, prima di operarmi al ginocchio, giocai a forza di cortisone: fosse stato per me magari sarei rimasto lì per tutta la carriera, ma mi piace stare dove la gente ha piacere che io stia. Quando scelsi l’Inter, per la prima volta nella mia carriera non analizzai bene tutto: il gioco di Simoni era troppo diverso da quello che mi divertiva».
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