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Luciano Spalletti, intervenuto ai microfoni della Rai, aveva punzecchiato Simone Inzaghi parlando dell'inchiesta sugli ultras. "Se uno ti chiama e non lo conosci, fai fatica a scambiarci due parole. Io rispondo a tutti, anche ai numeri che non conosco. Però poi so anche riattaccare". Frase che sicuramente non sarà piaciuta al tecnico nerazzurro. Intanto il c.t. punzecchia il collega nerazzurro ma “importa” il suo gioco. "Il nome di Inzaghi deve avergli dato una noia bestiale, altrimenti non si spiega la specifica sulla questione-telefonate che è francamente sembrata fuori luogo, non necessaria, inopportuna tra colleghi e leggera visto che l’inchiesta è in corso. E come chiude la telefonata con un eventuale ultras, Spalletti può benissimo rifiutarsi di rispondere a una domanda sgradevole", sottolinea Libero.
"Il paradosso è che, mentre Spalletti si toglieva questo sassolino, la sua Italia ha iniziato ad assomigliare all’Inter del collega. Fuori criticato, dentro imitato, reinterpretato, qualcuno dirà scopiazzato ma non sarà comunque una critica perché il calcio, lo sport e l’arte sono così. Mettersi a tre vuol dire portare Dimarco nel suo ruolo a tutta fascia, dove sta facendo la differenza nell’Inter come nell’Italia".
"Si noti anche che l’esclusione delle ali dai convocati serve a mettere Dimarco al centro del sistema. La reinterpretazione di Spalletti del 3-5-2 dell’Inter asseconda le caratteristiche degli azzurri, che non possono contare su due centravanti capaci di abbinarsi. Altra reinterpretazione è la posizione di Bastoni, non terzo di sinistra ma centrale per fare spazio a Calafiori. Questa la forma, ma la sostanza, cioè il gioco, ricalca diversi principi dell’Inter: anche quello dell’Italia è calcio relazionale, dove le posizioni sono fluide e ogni giocatore occupa il posto lasciato dal compagno che si è mosso nello spazio".
(Libero)
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