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La vicenda Stramaccioni, "costretto" a tornare in Italia nonostante il primo posto in classifica con l'Esteghal, continua a tenere banco in Iran e non solo. L'ex allenatore dell'Inter ha voluto raccontare la sua versione a La Stampa.
Stramaccioni, ci può spiegare che cosa è successo?
«Purtroppo dopo numerosi tentativi non andati a buon fine si è arrivati a terminare il contratto unilateralmente per giusta causa addebitata al club».
Perché ha deciso di tornare in Italia?
«Non credevo si sarebbe arrivati a quel punto, con la squadra prima in classifica e dopo aver vissuto la celebrazione di una grande vittoria in casa davanti a quasi 100.000 spettatori. Ma la decisione legale è stata inevitabile e la delusione enorme. Non aveva più senso stare lì senza poter lavorare».
Si aspettava che la sua vicenda diventasse un affare di Stato?
«Assolutamente no. Anche se l’affetto della gente era calorosissimo non avrei immaginato dimostrazioni del genere che mi hanno commosso».
Ci spiega quanto pesa la politica sullo sport iraniano?
«Difficile dirlo con precisione, ma il calcio ha una rilevanza enorme in Iran e la nostra squadra è di proprietà del governo, e gestita di fatto da dirigenti-politici».
I tifosi sono addirittura scesi in strada per difenderla…
«In Iran i social media vengono usati in maniera massiccia, molto superiore a quello cui siamo abituati in Italia. I tifosi hanno seguito passo passo tutte le difficoltà che la squadra, soprattutto io personalmente come allenatore, avevamo avuto fin dal primo momento. Dopo quattro giornate avevamo solo due punti, penultimi in classifica, avendo per giunta perso il sentitissimo derby contro il Persepolis. Per questo la nostra rimonta, con mezzi tecnici ed economici limitati, ha appassionato tutti».
È vero che anche le donne in Iran sono molto coinvolte nel tifo?
«È una cosa mi ha colpito molto. Nonostante le restrizioni le donne sono molto vicine al calcio, ogni occasione organizzata per aver accesso agli allenamenti veniva sempre raccolta con entusiasmo. Peccato non possano assistere alle gare ufficiali, ma non voglio entrare in tematiche più grandi di me».
Qual è stata l’emozione più forte che ha vissuto in questi mesi?
«Forse la vittoria a Tabriz contro il Tractor, nostri acerrimi rivali e molto più ricchi come club, in un momento fra l’altro di grande tensione per l’attacco turco in Siria. Erano 12 anni che non si vinceva lì, e mai l’Esteghal aveva segnato 4 gol (4-2 l risultato, ndr). Un ambiente indescrivibile. All’aeroporto al ritorno c’era una folla in delirio. In quel momento la squadra ha capito che potevamo provare a scalare la vetta».
Se la situazione dovesse chiarirsi tornerebbe ad allenare l’Esteghal?
«L’ho già detto ai miei calciatori: tornerei anche stasera».
Rimpianti?
«Essermi fidato con il mio entourage di chi ci aveva garantito che non ci sarebbero stati problemi come quelli che invece stanno mettendo a rischio pesantemente un’avventura affascinante».
Al di là del calcio, che impressione le ha fatto l’Iran?
«Solo visitandolo si può apprezzarne la bellezza. L’eredità dell’Impero Persiano è maestosa. C’è il mare, le montagne
innevate, si mangia benissimo. E la vita quotidiana non è come si può immaginare da fuori. L’autentico valore aggiunto però è il calore di un popolo fiero ma veramente accogliente con lo straniero».
Questa vicenda cosa le ha lasciato?
«Un’esperienza calcistica, culturale e soprattutto umana incredibile. Comunque vada a finire, un pezzo del mio cuore resterà sempre a Teheran».
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