Intervistato da La Gazzetta dello Sport, Marco Tardelli ha parlato della ripartenza del calcio e di come cambierà il campionato dopo l'emergenza Coronavirus:
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Tardelli: “Ripresa piena di dubbi. Gli orari non sono un problema. Algoritmo? Meglio che parli il campo”
L'ex tecnico ha parlato della ripartenza del calcio in Italia dei dubbi che avvolgono la ripresa e delle tante polemiche
Il calcio ripartirà: era favorevole o contrario?
«Chi ama il calcio è contento, ma è una ripresa piena di dubbi: dall’applicazione del protocollo, al destino della Serie B e della C, di cui quasi non si parla. Riusciranno ad applicarlo? Sarà sicuro per loro come per i giocatori di A? Siamo sotto lo stellone della fortuna: speriamo ci protegga».
Vuol dire che si poteva fare di più?
«Per fare di più servirebbe il vaccino. Diciamo che si sta facendo tutto il possibile perché i giocatori siano costantemente controllati, protetti, in sicurezza».
Si fa più per i calciatori che per la gente comune: demagogia?
«Ci sono distonie, ma questa non è colpa dei calciatori: per ricominciare a giocare bisogna fare il più possibile. Purtroppo da quarant’anni c’è un sistema che considera i calciatori come ricchi e viziati e in tutta questa emergenza mi sembra siano stati lasciati un po’ soli. Sono state fatte delle lotte, ma non quelle giuste: in campo ci vanno loro, sono loro quelli che rischiano. E vogliamo parlare di chi ha il contratto in scadenza a giugno e ora deve rincorrere accordi individuali per giocare? Si è parlato molto meno di questo che degli orari delle partite».
Non l’ha meravigliata sentire il presidente della Figc Gravina parlare di mecenati e cialtroni?
«Parole molto dure. A chi si riferiva esattamente bisogna chiederlo a lui, di sicuro sull’argomento ripresa il calcio non ha dato dimostrazione di compattezza».
Ma i calciatori volevano riprendere?
«Alcuni sì e altri no, anche fra loro poca armonia e un po’ di confusione. Quelli di Serie A sono andati per conto loro, alcuni capitani spingevano per non giocare, altri invece non volevano farsi toccare lo stipendio. Sui tagli non c’è stato un accordo collettivo, si è lasciato che ogni club decidesse per i suoi tesserati: credo che l’Aic dovesse puntare a un’intesa che stabilisse tutele uguali per tutti».
Torniamo al presente: che partite sta vedendo in Bundesliga?
«Calcio un po’ playstation, sicuramente non quello di prima: attenzioni diverse, meno durezza, meno aggressività, meno tensione».
In Italia sarà lo stesso?
«All’inizio può darsi, magari piano piano certe remore spariranno. Ma non dimentichiamo - non a caso il ministro Spadafora l’ha detto più volte - che non tutti i giocatori volevano riprendere».
Giocare 12 o 13 partite in 40 giorni è troppo?
«Siamo in emergenza, si deve fare un sacrificio».
Si giocheranno di pomeriggio 10 partite su 124: l’Aic ha protestato, lei ha già ha detto che non sarà un dramma.
«Direi proprio di no: a che ora si va in campo negli altri campionati? E solitamente ai Mondiali o agli Europei? Usa ‘94 allora non si doveva proprio giocare?».
Giusta la novità delle cinque sostituzioni?
«In assoluto troppe, ma sono giuste adesso: va dato atto che i giocatori possono trovarsi in difficoltà fisica. Leggiamola così: possono sottolineare la valenza degli allenatori».
E se il campionato non dovesse finire?
«La soluzione più naturale mi sembra considerare una classifica in base alle partite giocate sul campo: è lui che decide».
Quindi niente algoritmo?
«E’ l’ipotesi che mi ha divertito di più, ma mi è sembrato più che altro un annuncio ad effetto, un po’ la ricerca di un colpo a sorpresa. Non mi convince, come i play off e i play out, ma alla fine se ne può anche discutere».
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