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Intervenuto ai microfoni de Il Giorno, Marco Tardelli, ex calciatore, ha parlato così dell'emergenza Coronavirus e delle possibili ripercussioni sul mondo del calcio.
Il calcio ha capito troppo tardi che doveva fermarsi?
«C'è stata una difformità di scelte: si è giocato a porte aperte e a porte chiuse, si sono rinviate gare con squadre già in campo. Ma nessuno aveva l'esatta cognizione del pericolo reale. Il calcio si è bloccato quando il governo ha fermato il Paese».
Perché l'Uefa ha tentato disperatamente di continuare le Coppe e giocare l'Europeo?
«Perché il resto d' Europa, politici compresi, si é reso conto in ritardo dell'alta diffusione del contagio. In più c'erano colossali interessi economici legati a diritti tv e costi organizzativi. Ma alla fine la decisione giusta e inevitabile é arrivata».
«Mi auguro di sbagliare ma temo tempi lunghi per la ripresa. E vedo le Coppe più a rischio del campionato perché il contagio si diffonde a ondate con ritmi differenti. E in molti paesi europei è arrivato dopo di noi».
Per riprendere la rotta il calcio avrà bisogno di aiuti fiscali e anche i giocatori dovranno fare la loro parte, accettando il taglio degli stipendi...
«I calciatori si sono sempre adeguati alle situazioni difficili, hanno fatto la loro parte per l'intero movimento. Ma bisogna coinvolgerli, non dare tutto per scontato o procedere con dei diktat populisti. E poi vanno tutelati i giocatori che hanno guadagni medio-bassi. Lo stesso metro della Serie A non si può applicare alle categorie inferiori».
«Me la cavo con una battuta. Il vero problema sarà andare al mercato, quello vero, e trovare le patate».
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