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Tavecchio sull’eliminazione dai Mondiali: “Ventura terza scelta. Se avessi pagato di più Conte…”

Matteo Pifferi

Il pensiero dell'ex presidente Federale sulla pesante eliminazione dai Mondiali nel 2017

Lunga intervista concessa da Carlo Tavecchioa Repubblica. L'ex presidente della FIGC si ricandida per diventare presidente del Comitato regionale della Lombardia:

«Avevo abbandonato l’idea di potermi occupare di calcio, fatto salvo per la mia squadretta, che ho dal 1974 e che quest’anno è in Eccellenza (la Pontelambrese, ndr). Ma vari consiglieri regionali mi hanno pregato di riprendere in mano la situazione, visti i problemi personali dell’attuale presidente. Ma soprattutto perché la Lombardia è ormai considerata quasi come un comitato provinciale, non come la regione più importante d’Italia, con 170 mila tesserati, 1500 società, che versano una barca di soldi alla Lega Dilettanti».

Insomma, l’ha fatto per amore.

«Sì, per amore. Ma un minuto dopo la mia decisione si sono aperte le cateratte: non pensavo che Tavecchio potesse fare ancora paura».

Si riferisce alle dimissioni dei 9 consiglieri regionali della Lombardia, che avevano portato la Lega Dilettanti a nominare un reggente con lo stop alle elezioni, prima che il tribunale federale le desse ragione?

«I nove consiglieri non hanno capito che il problema non era umanitario, perché il presidente del Comitato regionale ha un’indisponibilità. Ma che la regia era altrove».

È sicuro che sia la cosa giusta tornare nel calcio, a 77 anni e dopo quell’epilogo alla guida del governo federale?

«Io ho lasciato la Lega Dilettanti che aveva liquidità, con investimenti immobiliari che hanno superato i 100 milioni di valore e con interventi sul territorio per i centri di formazione federale. E in Federcalcio ho lasciato una grossissima liquidità, con l’introduzione del Var e della Goal Line Technology, con quattro società che giocano la Champions mentre prima erano solo due più una ai preliminari. E questo è frutto della mia scelta di appoggiare Ceferin all’Uefa e Infantino alla Fifa, per cui avevo contro sia il governo che il Coni. Abbiamo avuto la possibilità di eleggere due dirigenti, Evelina Christillin alla Fifa e Michele Uva vicepresidente Uefa. E abbiamo ottenuto di ospitare le partite di Euro 2020: dati di fatto. Credo che negli ultimi anni non ci sia stato un grosso riconoscimento internazionale come a quel tempo».

Invece sarà ricordato per quel 13 novembre del 2017: l’Italia fuori dai Mondiali e lei il presidente costretto a dimettersi.

«La mia sfortuna è stata la mia filosofia brianzola: se avessi tenuto Conte, pagando di più, penso che avrei ottenuto tante cose. Ma non era nel mio stile passare da una cifra consistente a un’altra. E quindi non potevo pensare di mantenere questo tipo di rapporto, anche se avevo ottenuto un grosso importo dalla Puma per provare a tenere Conte. Ma ora mi chiederete di Ventura…».

C’è qualcosa che non è stato detto su di lui?

«Prima di Ventura chiamai Capello, era lui la mia prima scelta. Ma con gentilezza e stile mi fece capire che non faceva per lui. La seconda scelta fu Donadoni, la terza il duo Ventura-Lippi, ma quando furono sollevati dubbi di compatibilità per il figlio procuratore, Lippi rinunciò. Tutto questo percorso però fu fatto con il placet del presidente del Coni Malagò. Poi, quando la barca non va bene scendono tutti».

Cosa successe dopo l’eliminazione? Subì pressioni?

«Il giorno dopo erano lì tutti come corvi per commissariare la Federcalcio. Ma non mi sarei mai dimesso se la Lega Dilettanti mi avesse sostenuto. Invece mi chiese di allargare le alleanze. Ma che voleva dire? Chiesi ai membri del Club Italia di dimettersi, loro ritennero corretto non farlo e allora mi dimisi io, trascinando tutti con me. Ma io mi sono dimesso e ho convocato l’Assemblea elettiva: sono quelli dopo di me che non sono stati capaci di trovare una governance facendo commissariare la Federazione. Io l’avevo lasciata non commissariata».

Pensa che a febbraio la Lega Dilettanti potrà essere ancora l’ago della bilancia nell’elezione del presidente della Figc?

«Credo proprio di no. Eravamo abituati a essere determinanti, ma da quello che leggo i giochi sono fatti. E la Lega Dilettanti ha ottenuto il risultato di essere all’angolo».

Il calcio ha fatto abbastanza per tutelare il movimento dilettantistico in questa crisi?

«Dal punto di vista della difesa della salute è stato fatto anche di più di quello che si doveva fare. Non è stato fatto niente invece per evitare che la riforma dello sport di Spadafora annientasse i settori giovanili. Come farà una squadra dilettantistica che ha 200 ragazzi se le togli il vincolo sportivo, ossia l’unica possibilità che ha di ottenere delle risorse? Chi sosterrà tutte le spese saranno i genitori. Così hanno trasferito l’onere dei vivai sulle famiglie, che oggi non hanno i soldi nemmeno per andare a pranzo fuori. E quando ci si è accorti di questa situazione, dopo che il governo nottetempo ha fatto il decreto che però era giacente alla Camera e al Senato fin dal 2019, i buoi erano già fuori dalla stalla».

Sente ancora Lotito? È ancora lui il kingmaker del calcio italiano come ai suoi tempi?

«Abbiamo rapporti saltuari, restano l’amicizia e il rispetto, ma non l’ho più seguito».

Lui è ostile all’ingresso dei fondi nella Serie A. Lei che ne pensa?

«I fondi stanno facendo la spesa nel sistema Italia, non solo nel calcio italiano. Ma i fondi hanno un solo interesse: realizzare profitto. La Serie A deve cambiare il proprio sistema, visto che il Covid ha livellato gli interessi di tutti, dai Dilettanti ai big. Non si può tenere il costo personale al 90% dei ricavi».

Ma non è che sta facendo un pensierino anche a rientrare in Consiglio federale?

«Eh. Il Consiglio federale è sempre un’opportunità, se chi vi siede lo fa disinteressatamente. Certo, si potrebbe vedere, perché no?».