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Thuram: “Vicenda Lukaku? Italia sessista, omofoba e razzista. Da anni si parla e non si fa niente”

Le parole dell'ex difensore ora simbolo della lotta al razzismo

Daniele Vitiello

Lilian Thuram non ci sta e alza la voce. L'ex difensore, ora impegnato nella lotta al razzismo, ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni del Corriere dello Sport in seguito all'episodio di Cagliari-Inter che ha riguardato Romelu Lukaku.

Dopo il caso di Koulibaly a dicembre, domenica nuovi “buu” in uno stadio, stavolta contro Lukaku. I tifosi italiani non vogliono proprio imparare... 

«Cosa possono imparare se da tanti anni si parla e non si fa niente? Per imparare bisogna muoversi, prendere delle decisioni per risolvere il problema. Se non viene fatto niente, si dà il diritto di continuare a chi si comporta in un certo modo. Chi comanda evidentemente non considera gravi i “buu” e il razzismo».

Cosa ha pensato quando ha letto degli ululati a Cagliari? 

«C’è tanta gente che parla, sottolinea la necessità di cambiare e poi non fa niente. E per me chi non fa niente, vuol dire che è d’accordo con quelli che fanno “buu”. Qualcuno si arrabbierà per le mie parole, ma la penso così. Se ti dà fastidio una cosa, fai di tutto per cambiarla. In Francia per esempio gli arbitri interrompono le partite in caso di atteggiamenti contro l’omosessualità sugli spalti: sospendere la gara e mandare le due formazioni negli spogliatoi vuol dire educare la gente. In Italia non mi ricordo di prese di posizione così forti».

La mentalità nel nostro mondo del calcio è sbagliata? 

«Quando si parla del razzismo bisogna avere la consapevolezza che non è razzista il mondo del calcio, ma che c’è razzismo nella cultura italiana, francese, europea e più in generale nella cultura bianca. I bianchi hanno deciso che sono superiori ai neri e che con loro possono fare di tutto. E’ una cosa che va avanti da secoli purtroppo. E cambiare una cultura non è facile».

Fifa e Figc si sono schierate contro coloro che hanno offeso Lukaku. 

«Da quanti anni ci sono questo tipo di reazioni dopo fatti simili? Alla fine tutti pensano che sia una cosa grave, ma una soluzione va ancora trovata. Se per tanti anni ne parla, ma non si riesce a fare niente, vuol dire che c’è un’ipocrisia tremenda e che manca la volontà di risolvere il problema. Una cosa del genere è successa in Inghilterra a Pogba che sui social network è stato offeso. C’è stato un allenatore che ha fatto un’uscita ipocrita affermando che bisogna boicottare i social perché certi comportamenti non erano tollerabili, ma quello stesso tecnico in passato sosteneva che le gare non si dovevano fermare in caso di “buu”. Tutti dicono “Facciamo qualcosa”, ma nessuno fa davvero qualcosa. E i razzisti credono di avere ragione».

Da dove bisogna partire? 

«I club devo sentirsi responsabili per quello che succede perché certi episodi si verificano dentro uno spazio chiuso ovvero uno stadio. E quando dico “responsabili”, non intendo “colpevoli”. Le società devono dire: “Noi siamo responsabili. Cosa possiamo fare?”. Se ammetti di essere responsabile è un buon inizio perché non succeda più. Se invece nessuno si sente responsabile…».

Quale sarà il passo successivo? 

«Lo stop delle gare. Le leggi che consentono di interromperle esistono, ma se si finge di non vedere o di non sentire…».

La politica può dare una mano? 

«Quando uno vuole fare una cosa perché capisce che c’è un problema, la fa. A volte è la politica che accetta che ci sia una gerarchia tra le persone, che la provoca parlando di superiorità, di maggiori diritti di questo o quel gruppo sociale».

L’Italia è un paese razzista? 

«Per un italiano è difficile dire che l’Italia è razzista. Idem per un francese con la Francia e così via. E’ una cosa che capisco perché non è facile vedere le cose come sono realmente quando sei emotivamente coinvolto. L’Italia è sessista, omofoba e razzista come quasi tutti i Paesi. Chi dice che c’è più razzismo in Italia rispetto alla Francia o altrove sbaglia. A me l’Italia piace: da voi ho vissuto bene, ho amici e tornerò sempre volentieri».

Da noi le è mai capitato di essere oggetto di offese razziste? 

«Mi è capitato, ma il discorso è più generale. Quando sei nero almeno una volta nella vita hai avuto problemi con i razzisti. E non solo nel calcio. E’ da ipocriti dire che il razzismo è solo nel mondo del pallone. Rivolgo una domanda a coloro che leggeranno questa intervista: “Chi vuole essere trattato come sono trattati i neri?”. Io giro per le scuole per parlare di razzismo e una sola volta quando ho rivolto alle classi questa domanda ho trovato una bambina che ha alzato la mano. Mi sono stupito. Perché? Coloro che non alzano la mano non vogliono essere trattati come i neri perché sanno quello a cui andrebbero incontro. E a quel punto chiedetevi perché non fate niente per cambiare le cose».

Conosce Lukaku? Lo chiamerà? 

«Non lo conosco perché apparteniamo a due generazioni diverse. Lui è giovane, io sono vecchio.. ma mi hanno detto che ha scritto sui social: “Noi calciatori dobbiamo essere uniti e prendere una posizione, per far sì che il calcio resti un gioco pulito e divertente per tutti”. E’ giusto».

Seedorf su Instagram gli ha risposto: “Sono d’accordo. Ti chiamerò presto per parlarne”. 

«E’ positivo che i neri parlino di trovare una soluzione a questa vicenda, ma bisogna far capire alla gente che i neri non hanno un problema. E’ necessario avere il coraggio di dire che i bianchi pensano di essere superiori e che cercano di esserlo. In tutti i modi. Sono loro, i bianchi, che devono trovare una soluzione al loro problema. Se ritengono di essere più importanti e lo dimostrano con i “buu”, vuol dire che loro hanno un complesso di inferiorità. I neri non tratterebbero i bianchi in quel modo per nessun motivo. Lo dice la storia».

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