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Toldo: “Mou il migliore. Maicon un matto. Calciopoli? Non voglio parlarne. Con Vieri litigo…”

Gianni Pampinella

In una lunga intervista al Corriere del Veneto, l'ex portiere nerazzurro racconta gli inizi della sua carriera fino alla conquista del Triplete

Intervistato dal Corriere Veneto, Francesco Toldo ha ripercorso le tappe più importanti della sua carriera. Dagli inizi, fino ai trofei conquistati con l'Inter, l'ex portiere si racconta: "In porta ho iniziato dopo, prima ho fatto il terzino, il mediano e il centroavanti. Sono esploso tardi fisicamente, ero lento e non avevo voglia di correre. Un giorno, verso dicembre, mi misi in porta. Nevicava, mi divertii talmente tanto a buttarmi su quel manto candido per cercare di prendere il pallone che non mi sono più mosso".

La svolta come avvenne?

«Nell’Usma ho avuto la fortuna di trovare Giovanni De Zan, che è una leggenda in paese ed è stato il mio primo allenatore. Da lui è partita una segnalazione a Giancarlo Caporello, l’allora mister dei portieri del Montebelluna che tutt’ora allena a 80 anni. Quelli sono stati i periodi più duri ma più formativi. Abitavo ancora a Caselle di Selvazzano, frequentavo l‘alberghiero ad Abano Terme e facevo su e giù fino a Montebelluna. Lui mi ha premesso di imparare certi segreti che stanno alla base di un ruolo così particolare».

In azzurro ha conosciuto anche Arrigo Sacchi, ha un bel ricordo?

«Un altro maestro. Ci siamo dovuti adeguare al suo gioco e per un portiere era un incubo. Bisognava essere coraggiosi ma imparate le sue basi ti adattavi. È stato un precursore per il gioco in Italia. Nel 2001 approda all’Inter, all’inizio non senza difficoltà… Mister Hector Cuper è durato parecchio tempo, ma purtroppo abbiamo attraversato un periodaccio. Erano gli anni di Calciopoli, a cui ho messo un coperchio sopra e di cui non voglio parlare ma ho vissuto molto male gli avvenimenti. Nelle stagioni poi si susseguirono Zaccheroni e Mancini fino all’apoteosi con José Mourinho».

Lui fu l’apice del progetto Moratti, come ci riuscì?

«Perché è il miglior mister, non tanto dal lato del gioco ma dal punto di vista psicologico. È il più avanti di tutti. Quell’Inter è stata la costruzione di tante squadre nel tempo. Il presidente aveva comprato i giocatori più forti e Mou è riuscito a creare un gruppo unico. La sue forze sono state la preparazione, l’intelligenza e la chiarezza».

Quando ha deciso di smettere?

«La sera del Triplete con l’Inter (Campione d’Europa, d’Italia e vincitore della Coppa Italia, ndr). Avevo capito che era arrivato il momento di stare con la mia famiglia».

La partita più bella che ricorda?

«Mediaticamente la semifinale di Euro 2000 con l’Olanda. È stata magica perché si sono incontrati il talento con le coincidenze fortunate. Girò tutto bene. La sera prima parlando con un amico al telefono avevamo ragionato su chi poteva calciare i rigori e andò come me l’ero disegnata. La convinzione è alla base di tutto, più del talento. Io ero uno di quei portieri che se centrava la giornata giusta diventava insuperabile».

Altri match in cui si è distinto e che non sono nell’immaginario collettivo?

«Ce ne sono tanti ma spesso nella mente resta solo quello che fanno gli attaccanti. Penso ad esempio a Arsenal-Inter 0-3 (2003), espugnammo Highbury a Londra e io parai un rigore. Oppure ai vari Valencia-Inter, in quegli anni erano tutte sfide galattiche».

Il compagno di squadra con cui si è divertito di più?

«Di “matti” ce ne sono stati tanti, ma uno come Maicon non l’ho mai visto».

A proposito di Vieri, con lui c’è una famosa diatriba su una rete contestata…

«Inter-Juve del 2006, eravamo sotto di un gol. In settimana avevo detto a Cuper che se fossimo stati in svantaggio 1-0 e fosse servito sarei salito in area e avrei segnato. Battemmo un calcio d’angolo nel recupero e io toccai la palla di testa: la sfera finì in rete. Il gol lo sento mio. Tutt’ora con Bobo litighiamo bonariamente per la paternità. Lui dice che sfiorò la sfera, secondo me no ma poco importa tanto l’hanno data a lui che doveva vincere la classifica cannonieri. San Siro esplose, un momento indelebile».

(Corriere del Veneto)