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Tiziano Treu, presidente del Cnel ed ex ministro del lavoro, ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni del Corriere dello Sport. Tema, ovviamente, gli strascichi della pandemia Coronavirus sul nostro sistema calcio: «Credo che il calcio - per i milioni di italiani che coinvolge e per quanto produce in materia di fatturato e spettacolo - sia meritevole di un attenzione finanziaria significativa. Ma questi finora sono stati provvedimenti fatti in fretta e anche confusi. Mi auguro che il prossimo decreto preveda aiuti concreti per il calcio italiano. In realtà penso che si sia arrivati a questo punto per una ragione precisa».
Quale?
«Si ha da tempo l’impressione che il nostro calcio si sia isolato e separato dal resto dell’Italia e abbia vissuto in una bolla, anche finanziaria. Per questo si è detto: arrangiatevi. Però questo è sbagliato, il calcio italiano non può uscire da solo da questa crisi. Anzi, questa potrebbe essere l’occasione per ripartire, per un nuovo inizio».
In realtà molte componenti del calcio guardano al passato più che provare a immaginare un futuro solido. Si pensa a tornare «come prima», anziché costruire un «dopo».
«Mi sta dando la conferma di quello che penso anch’io da osservatore esterno. È necessario che tutti si capisca che quel mondo lì non tornerà più. Basta con la nostalgia, bisogna spingersi in avanti. Guardi come stanno cambiando gli altri contesti. Il mondo del lavoro, l’economia, la scuola. Non era immaginabile - almeno fino a un mese fa - una scuola digitale come quella che sta funzionando da quando è scattata l’emergenza Coronavirus. La verità è che il cambiamento deve coinvolgere tutte le parti del sistema-calcio, dai dirigenti ai calciatori, fino a noi spettatori. Non dimentichiamo che il nostro calcio, fino a poche settimane fa, era inquinato da violenze e razzismo. Ci sarà un nuovo modo di fruire calcio, bisognerà lavorare anche considerando questi aspetti».
Capitolo stipendi. Si parla di tagli e si naviga a vista. Ma in teoria le società non sono obbligate a pagare perché da un punto di vista giuridico i decreti governativi hanno bloccato l’attività sportiva. Sarebbe una mossa legittima da parte dei nostri club?
«In punto di diritto non c’è dubbio che la situazione che si è creata per una serie di decreti costituisce un «factum principis», perché siamo di fronte a un evento, l’emergenza Covid 19, che rende impossibile la prestazione. Nel decreto 18 c’è una norma, la 91, che indirettamente conferma questa regola generale. Dice che a fronte di questi eventi, quando vi è l’impedimento a svolgere certe attività, il rapporto di lavoro si sospende e l’azienda non è tenuta a pagare gli stipendi finché dura l’impossibilità della prestazione. Naturalmente il diritto deve fare i conti con il buon senso».
Quale pensa sia la soluzione migliore?
«Se le società smettessero di pagare i loro dipendenti dall’oggi al domani sarebbe un errore, credo invece necessario considerare un accordo, capace di coniugare le richieste del campione ultramilionario, ma anche del professionista con uno stipendio molto più basso».
Facciamo un esempio. Cristiano Ronaldo ha un ingaggio di 31 milioni all’anno. Con un campionato contraffatto - a porte chiuse o a data da destinarsi - la Juventus rischia di perdere il 40% dei suoi introiti. Con queste premesse il club sarebbe legittimato a non pagare il suo fuoriclasse?
«Sì, sarebbe legittimata, a sospendere lo stipendio, non dimentichiamo che parliamo di lavoratori subordinati, anche se milionari. C’è anche una questione di tempo da considerare. E nel tempo gli effetti possono essere moltiplicati. Proporzionare il taglio degli stipendi non sarà facile, ma mi sembra indiscutibile che vada fatto».
Il decreto di fine marzo ha previsto il divieto di allenamento anche per i professionisti indicandolo in maniera specifica. Se però in questi giorni i calciatori hanno ricevuto delle indicazioni sugli allenamenti viene meno l’obbligo del decreto. È corretto? E che tipo di scenario si prospetta?
«Ci si deve attenere al decreto, non c’è dubbio. Vale per tutti. Niente allenamenti di squadra, mi sembra chiaro. Almeno fino a che non verrà dato il via libera. Mi sembra che già in questi giorni i calciatori si allenino da soli a casa con cyclette e attrezzi da palestra. Siamo chiusi fino al 3 maggio, poi se il 4 saremo usciti da questa emergenza allora ne riparleremo. Anche se immagino che per un po’ di tempo bisognerà mantenere le distanze di sicurezza».
Con un sistema-calcio a rischio default, come può intervenire il Governo?
«Il Governo finora non si è occupato del calcio, perché finora - come le dicevo prima - il sistema calcio si è ritenuto autonomo. Anche il calcio è un’industria e il Governo deve fare la sua parte. Attivandosi per risarcire i danni, con misure specifiche in materia di adempimenti fiscali e con proroghe dei tempi amministrativi. E poi considerando gli impatti più ampi di questa nuova situazione. Occupandoci delle necessità di oggi, ma pensando anche a nuovi scenari».
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