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Ulivieri: “Mancio è più sicuro: è manager. Sa farsi comprare i giocatori perché…”

L’ex allenatore di Roberto Mancini, Renzo Ulivieri, parla, intervistato dalla Gazzetta dello Sport, dell’attuale tecnico dell’Inter: “Roberto? a 17 anni era già giocatore, anche mentalmente. Quando io lo allenai  Furono due anni duri,...

Riccardo Fusato

L’ex allenatore di Roberto Mancini, Renzo Ulivieri, parla, intervistato dalla Gazzetta dello Sport, dell’attuale tecnico dell’Inter:“Roberto? a 17 anni era già giocatore, anche mentalmente. Quando io lo allenai  Furono due anni duri, spesso vedevamo le cose da due punti di vista diversi. Lui si sentiva un 10, voleva giocare mezzapunta; io lo vedevo Boninsegna, forse anche perché uno là davanti mi mancava.

Chi aveva ragione?  Tutti e due. Lui perché a quei tempi ti marcavano molto stretto e qualcosa ci rimetteva, a stare così vicino alla porta. Ma avevo ragione anch’io a farlo studiare da grande attaccante: mi pare che in “vecchiaia” lo abbia fatto, e anche molto bene, no?.

Se abbiamo litigato più allora o quando io mi opposi  alla deroga per fargli allenare la Fiorentina? Ma non era una questione personale: a parte che erano contrari tutti gli allenatori e non solo io, mica ce l’avevo con Mancini, ce l’avevo con una norma che non poteva esistere, ma fu imposta da Petrucci.

Quando allenavo mi imponevo io?  Di sicuro prima si discuteva. Anche perché ne passava di tempo prima di smontarlo e di fargli cambiare idea. Sempre che la cambiasse davvero, in realtà non succedeva quasi mai: aveva un bel caratterino, diciamo pure un caratterone. Poi finché morirò insisterò a dirlo: lui ha fatto una carriera straordinaria, ma forse da punta pura lo sarebbe stata ancora di più, soprattutto in Nazionale. Anche perché allenandolo ho visto cose che forse in tanti non sanno.  Tipo che era, o comunque sarebbe stato, fortissimo anche di testa: nella gambe aveva la dinamite e dunque uno stacco da fermo con il quale poteva mangiare il tempo anche ai difensori più mastini. Poi  era velocissimo: sui 100 metri bruciava anche Vierchowod, meglio di lui solo Chiorri e Luca Pellegrini. Ha sempre scelto di usare soprattutto la tecnica, il talento: avesse puntato di più anche sul fisico, che aveva, sarebbe stato con anni e anni di anticipo il prototipo dell’attaccante moderno.

I gol erano poesie? Certo, come quello nel settembre 1982, terza giornata: da neopromossi avevo maledetto il calendario, ma poi si vinse con Juve, Inter e Roma una dietro l’altra. Quel gol l’avevamo studiato: movimento a uscire di Francis, palla dentro di Brady e Mancini in faccia a Di Bartolomei. Segnò esattamente così.

Da allenatore mi sta stupendo?  No, perché le ultime esperienze sono sempre quelle che ti danno le maggiori sicurezze e il primo istinto è adattare i giocatori al tuo sistema, oppure farteli comperare. In questo lui è sempre stato bravo e sa perché? Perché è stato un grande giocatore e chi lo è stato è più bravo a spiegare cosa serve per fare le grandi squadre: i grandi giocatori, appunto. Se lo vedo cambiato?  Un po’ forse sì. Mi sembra più pacato, più sicuro: una sicurezza più consapevole, ecco. Diciamo che lo vedo più allenatore-manager, e sono sicuro che non si offenderà."