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Quella cosa che non ha nome, che non ha ragione, che ci rende infantili, gelosi delle vittorie altrui e tronfi per le nostre, che non ha relazione stretta con la razionalità, ma con il sentimento. Perché, a ben guardare, la partita di calcio è, nel tempo di oggi, anacronistica. In una fase della nostra vita in cui tutto è velocissimo, il football impegna novanta minuti per volta per uno spettacolo che si svolge essenzialmente in mezzo al campo, fatto di passaggi e che solo, al massimo, una decina di volte produce l’emozione di un tiro nella porta avversaria.
Tutto lento, non come il basket, la pallavolo, il tennis, sport in cui il tempo o il singolo punto si succedono con frenetica velocità. Terrei d’occhio questo elemento, fossi negli strateghi finanziari del calcio. I giovani non hanno per il football la stessa passione delle generazioni precedenti.
A un certo punto, con i migliori che vanno a cercare il petrolio, i giocatori che sembrano dei commessi viaggiatori disposti a cambiare prodotto senza colpo ferire, les enfants du pays, quelli ai quali ci si affeziona di più, che non vengono utilizzati e valorizzati, il rischio è che il giocattolo si rompa. La maglia non è uno straccio. Non è una bandiera per la quale morire. Ma neanche uno straccio. Se si rompe il filo emotivo, se il gioco perde anima e sentimento, se diventa freddo come un algoritmo, il calcio rischia di farsi nero.
Nero come il petrolio".
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