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Com’era l’Eriksson allenatore?
«Prima cosa da dire: non era invadente. Nel senso che sapeva che la fortuna delle squadre sono i calciatori e lui aveva l’umiltà di mettersi a loro disposizione. Più che delle tattiche e degli schemi, che comunque conosceva alla perfezione, Eriksson si preoccupava di creare un gruppo. E quando parlo di gruppo intendo che tra di noi ci doveva essere amicizia, intesa, comprensione. Questo era il suo obiettivo, e dovrebbe essere l’obiettivo di ogni allenatore».
Lei ne ha avuti tanti di tecnici. Dove colloca Eriksson in un’ipotetica classifica di bravura?
«Al primo posto, e l’ho già detto diversi anni fa. Per me lui è stato il migliore, quello che mi ha accolto, quello che mi ha capito, quello che mi ha migliorato, quello che mi ha fatto diventare un giocatore importante. E ricordatevi che io sono stato allenato anche da un fenomeno della panchina come Sir Alex Ferguson al Manchester United. Ma Eriksson aveva qualcosa in più: l’aspetto umano».
Di lei Eriksson disse che era timido, parlava poco nello spogliatoio, ma in campo era un vero allenatore.
«Lo ha detto anche a me, una volta, quando avevo smesso di giocare, e ci siamo messi tutt’e due a ridere. Io non sono un chiacchierone, ma sono uno che pensa soprattutto al bene del collettivo. E nelle squadre dove ho giocato questo è sempre stato il traguardo che volevo raggiungere: il gioco di tutti è importante, non il gioco di un singolo. Eriksson mi ha insegnato questa lezione e io me la sono sempre portata dietro in tutta la mia carriera».
Nell’estate del 1999 lo raggiunse alla Lazio. E vinceste lo scudetto.
«Avevo appena conquistato la Coppa Italia e la Coppa Uefa con il Parma, ma sapevo che Eriksson mi voleva già da un paio d’anni e feci in modo che il trasferimento si realizzasse. Lo scudetto con la Lazio è stata un’impresa indimenticabile. E gran parte del merito, a parte la bravura dei giocatori, fu di Eriksson che seppe sempre tenere in equilibrio tutto l’ambiente, sempre facile all’esaltazione. Dico una sola cosa che spiega tutto: di allenatori come lui ne nascono pochi, e di uomini ancora meno. E’ per questo che sarà difficile sopportarne l’assenza».
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