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Vialli: “CL con la Juve? Volevo togliermi l’ossessione. No allo scudetto a tavolino ma…”

Vialli, intervistato da Repubblica, ha parlato anche del suo stato di salute

Matteo Pifferi

Lunga intervista concessa da Gianluca Viallia Repubblica. L'ex attaccante, tra le altre, di Juve e Sampdoria ed attuale Team Manager della Nazionale ha risposto così alla domanda sul proprio stato di salute:

«Cosa significa ritrovare la salute? Significa vedersi di nuovo bene allo specchio, guardare i peli che ricrescono, non doversi più disegnare le sopracciglia con la matita. In questo momento, può sembrare strano ma mi sento quasi fortunato rispetto a tanta gente».

La sua Lombardia è ferita.

Provo un senso di colpa per non essere lì, anche se le mie condizioni non lo avrebbero permesso. Penso alle persone portate in ospedale e morte sole, ai loro parenti costretti a casa, ai funerali non celebrati: è terribile. Una prova estrema, uno strazio. E resteranno enormi cicatrici affettive, morali ed economiche. La vita di ognuno cambierà e per tantissima gente è già cambiata, purtroppo».

Come si combatte la paura di morire?

«Pensando ai desideri, concentrandosi su quanto ci piace davvero, e su quanto vogliamo che ogni cosa ritorni. Non bisogna sentirsi egoisti e non si deve permettere al cervello di andare da un’altra parte».

Cosa significa veramente, per milioni di persone, dover rinunciare allo sport?

«Lo capiremo quando tutto tornerà. E quando la bellezza dello sport e del calcio, le emozioni e i ricordi ci aiuteranno a tornare a vivere, vivere pienamente. Sarà un esercizio di piacere e bellezza: sarà stupendo. E dovremo dare più spazio alla solidarietà: non recinti più alti, ma tavoli più lunghi. Le società di calcio dovranno essere anche piattaforme di sviluppo sociale, un luogo condiviso dal quale ripartire».

Lo sa che in tivù passano anche le sue vecchie partite?

«Ne sono felice, spero di poter dare un piccolo aiuto emotivo a qualcuno. La bellezza del calcio è anche questo, in fondo è senza tempo. Succede anche a me quando rivedo le partite in bianco e nero dei miei idoli».

L’altra sera, per esempio c’era lei che alzava la Coppa dei Campioni.

«Era la mia ultima gara con la Juve, volevo togliermi l’ossessione: nell'ultima con la Sampdoria, il trofeo l’avevo perso. Io so cosa proverebbero Chiellini, Buffon e Bonucci se ci riuscissero».

È pesante, la coppa? Non metaforicamente.

«Abbastanza, ma in quel momento la devi trattenere perché alzandola non voli via. Diventa una piuma, un palloncino».

Tra la Juve e la Champions ci si è messo pure il virus. Le sue mani resteranno le ultime ad averla sollevata?

«Da anni mi auguro che non sia così. Ai miei tempi, però, era più difficile portarla a casa: il primo anno dovevi vincere lo scudetto, e quello dopo la Coppa».

Se fosse ancora bianconero, lo vorrebbe uno scudetto a tavolino?

«No, non questo. Non dopo quanto sta succedendo. Se si potrà chiudere la stagione in qualche modo, in totale sicurezza, bene. Altrimenti, meglio non assegnare il titolo».

Non sembra ci sia grande unità di intenti nel calcio italiano.

«Si dovrebbero dimenticare gli interessi di parte e gli egoismi, anche se capisco i presidenti alle prese con una crisi mai vista. Qualcuno per forza di cose ci rimetterà. Un errore da non commettere è la fretta. Si abbia fiducia nelle competenze di quelli che se ne intendono e ci dicono cosa fare: preghiamo che lo sappiano davvero. E si torni in campo solo quando i medici e gli esperti diranno che è possibile, anche se sono io il primo a desiderarlo. Ma nel frattempo occorre un atto di responsabilità generale, al di là dell’emergenza dell’intero sistema».

Che vacillava parecchio già prima della pandemia.

«Purtroppo il calcio italiano dimostra poca capacità di assorbire i colpi, servirebbe maggiore solidità. Anche se, ne sono consapevole, stavolta sarà molto difficile sostenere i conti».

Fa effetto leggere di stipendi tagliati ai calciatori.

«Il sacrificio dovrà essere sostenuto da tutti, non solo dagli atleti. Mi sembra interessante quello che accade qui in Inghilterra, dov’è stato creato un fondo di solidarietà alimentato da una quota dei guadagni dei giocatori: i fondi li distribuiscono loro, direttamente alla sanità pubblica».

Il 2020 senza sport significa anche il rinvio degli Europei: meglio o peggio, per gli azzurri?

«Avranno un anno in più per calarsi davvero nel Club Italia, per sentirsi più forti e non voltarsi verso la panchina, cioè verso Roberto, quando le cose si mettono male. Un anno di crescita servirà».