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Inzaghi ed Allegri hanno e stanno invece interpretando alla perfezione il ruolo dell’allenatore-manager, che vuol dire consigliare, confrontarsi, sempre però nel rispetto delle esigenze del club. Inzaghi non ha fatto una piega, non ha battuto ciglio, quando gli sono stati annunciati gli addii di Lukaku ed Hakimi. Non si è disperato per la cessione di Onana, che pure aveva contribuito a valorizzare non solo come portiere. Ma anche dal punto di vista del valore patrimoniale. Non ha dato in escandescenza dopo il repentino cambio di direzione di Lukaku, pochi giorni dopo la cessione di Dzeko. Ha atteso con fiducia che i dirigenti facessero il loro lavoro, preoccupandosi nel frattempo di trarre il meglio della rosa a disposizione.
Ancora di più, si potrebbe dire, ha fatto Allegri. Che, con un curriculum e un prestigio da difendere, avrebbe potuto manifestare tutte le proprie perplessità di fronte al nuovo programma della società, costretta degli ultimi eventi a cambiare strategia. Invece di lamentarsi si è concentrato sul suo lavoro di… allenatore. Ha rivitalizzato calciatori che sembravano finiti ai margini - proprio come McKennie - ha lavorato su chi era reduce da continui infortuni - come Vlahovic - riportandolo ai livelli migliori. Ha lavorato sui giovani fino a portarli a un ruolo da protagonisti. Insomma, essere aziendalisti - che vuol dire far bene il proprio lavoro nel rispetto della strategia del club - sta premiando. In termini di risultati e di compattezza. Perché anche questo, coinvolgere tutti in progetto comune, vuol dire sapere fare squadra. E, nel loro caso, anche saper creare ottime Squadre.
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