Due 10 che più atipici, in controtendenza con il “vecchio” calcio, non potrebbero essere. Un’ala e una punta: solo proporli come “10”, qualche anno fa avrebbe scatenato un oceano di proteste. Perché, istituzionalmente, i numeri 10 sono altri: da Pelé a Maradona e Messi, da Platini a Zico, da Baggio a Totti e Del Piero e potremmo andare avanti all’infinito. Trequartisti e in qualche caso anche di più - fuoriclasse impossibili da imprigionare in un ruolo - che sono passati alla storia e in qualche caso hanno addirittura consigliato di prendere provvedimenti drastici: il ritiro di quel mitico numero 10. Certo è che né Leao e né Lautaro hanno usurpato l’onore, l’onere e comunque il privilegio di indossare una maglia che ha sempre contraddistinto il giocatore speciale: fuori dagli schemi, con un carico di responsabilità superiore.
Certo, non sono - come stile di gioco e appunto come posizione in campo - gli eredi di Rivera o di Suarez, per restare alla storia impareggiabile di Milan e Inter. Non hanno il lancio o la bacchetta dei direttori d’orchestra. Però ci sta benissimo che - in quel famoso calcio moderno a cui accennavamo e che ha proposto nuovi concetti - il 10 possa andare elegantemente e legittimamente a spasso sulle loro spalle. Perché Leao e Lautaro non rappresentano il classico stile di gioco del numero 10, ma interpretano un ruolo carismatico e fondamentale di riferimento per tutto il gruppo. Leao è sempre lì, sponda ideale per qualsiasi compagno in difficoltà. Scaricare il pallone dalle sue parti vuol dire - non sulla trequarti ma sulla fascia - immaginare una giocata speciale, una fonte d’ispirazione e di assist tipica dei fantasisti. Senza contare che quella mezza rovesciata all’Olimpico, contro la Roma, è proprio lì a testimoniare le sue doti di immaginazione, bagaglio dei grandi 10.
E Lautaro Martinez? Lui è un 10 nell’anima, ancora di più con la fascia di capitano, perché rappresenta la semplificazione di qualsiasi problema, la giocata d’autore, il gol con il timbro di classe. A pensarci bene lui più di ogni altro rappresenta quel 9 e mezzo di cui parlava anni fa Platini. Un creativo che, oltre a dipingere, è pronto a metterci sempre la firma. Insomma, se questo è il prezzo da pagare al pallone che sta cambiando - a volte in meglio e in altre decisamente no - in questo caso si può essere assolutamente d’accordo. Magari si potrebbe tornare a parlare di contropiede e terzini, si potrebbe mettere fine allo stucchevole dibattito su giochisti e risultatisti, ma che Leao e Lautaro - al di là dell’aspetto istituzionale - siano giocatori da 10 (in tutti i sensi) non c’è proprio alcun dubbio. E anche per questo sarà un derby davvero speciale, al di là degli schemi. Dove sta scritto che il 10 debba ancora giocare sulla trequarti?".
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