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Dott. Volpi: “Stagione Inter con pochi infortuni, merito dello staff. L’anno prossimo…”

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"Lo star bene in gruppo, come nell’Inter quest’anno, non è scontato e fa la differenza", ha dichiarato Piero Volpi
Matteo Pifferi Redattore 

Il professor Piero Volpi, medico dell’Inter, ha rilasciato un'intervista al Corriere della Sera:

«L’evoluzione della macchina calciatore in 40 anni? Quello che colpisce è l’aspetto fisico: una volta chi sapeva trattare bene il pallone emergeva. Oggi non basta. È il fisico l’attrezzo che devi curare di più. Pensiamo a Rivera o Mazzola: se giocassero ora dovrebbero crescere molto atleticamente per garantire il loro livello tecnico».

Spalletti quantificava in 6-7 punti a stagione il contributo dello staff medico. Che ne pensa?

«Avere uno staff attento porta dei punti in più, ma una stima non è facile. Quest’anno siamo riusciti a sistemare tante situazioni e a contenere il rischio degli infortuni. Ma attenzione: gli scienziati lavorano e vivono nelle università e negli ospedali».


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Come si riesce a prevenire gli infortuni?

«La prima cosa è la conoscenza dettagliata di tutti i giocatori per la prevenzione secondaria, cioè sui punti deboli: tendini, muscoli, articolazioni. Il secondo aspetto è post infortunio: il recupero deve essere più preciso possibile e le tecnologie ci aiutano molto. Ma la differenza la fa lo staff, sempre più ampio completo e qualificato. I giocatori sentono di vivere in un ambiente che si prende cura di loro a 360 gradi».

Il rapporto col preparatore com’è?

«C’è uno scambio continuo di informazioni, mediche e fisiche, per fargli svolgere in assoluta sicurezza il proprio lavoro. Anche in questo settore la tecnologia è molto migliorata, pensiamo ai Gps e ai dati che forniscono: una volta si andava un po’ alla cieca, come una macchina senza navigatore».

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Le cinque sostituzioni stanno cambiando il calcio. La prima proposta fu sua?

«Quindici anni fa presentai il progetto all’Aic e alla Uefa, per armonizzare il minutaggio e salvaguardare l’aspetto medico. Alla fine c’è voluto il Covid per togliere questa idea dal cassetto».

Ci sono giocatori che fanno un’ora a tutta e poi escono. È una strategia anche «medica»?

«Non c’è dubbio».

Che eredità ha lasciato il Covid?

«C’è un incremento di alcune patologie cardiache. E anche di lesioni muscolari. E abbiamo degli studi che ci consentono di capire meglio quello che è successo».

Da Kanu a Eriksen, passando per Ronaldo. Ha affrontato dei casi di studio.

«Sì, hanno segnato delle epoche per la medicina sportiva. Non si pensava che un giocatore del livello di Kanu, reduce da una finale olimpica, potesse avere una patologia di quel tipo. Ma fu eclatante anche il trattamento chirurgico al cuore a cui fu sottoposto: un miracolo della medicina sportiva. Il caso Ronaldo nel 2024 forse con la moderna chirurgia del ginocchio verrebbe affrontato in maniera più spedita. Eriksen è un caso più recente: a fare la differenza è stata la grande capacità organizzativa e di soccorso dell’ambiente».

Come ha vissuto il caso del romanista Ndicka?

«Con preoccupazione, perché non era chiaro se ci fossero problemi cardiaci. Quando finisce tutto bene tutti sono soddisfatti dei protocolli seguiti».

In cosa si può migliorare dal punto di vista medico?

«Il futuro è interfacciare dati innumerevoli per far sì che il giocatore possa avere il rendimento migliore. Ma ci sono anche dati che non si vedono: lo star bene in gruppo, come nell’Inter quest’anno, non è scontato e fa la differenza, perché si abbassa lo stress psicofisico, aumentato anche dai calendari».

La prossima stagione col Mondiale per club sarà ancora più intensa. Come va affrontata?

«La strada è trovare un equilibrio nel minutaggio dei giocatori di tutta la rosa. Si può far male chi gioca troppo, ma anche chi gioca troppo poco».

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