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Continua a far discutere il progetto di Arsene Wenger di organizzare un Mondiale ogni due anni. Il francese, intervistato da Repubblica, spiega qual è il suo progetto per cambiare un calcio sempre più ricco di impegni per i giocatori. "Non è una rivoluzione, piuttosto un’evoluzione necessaria: tutti sembrano d’accordo sul fatto che il calendario vada riformato, nessuno è contento dello status quo".
Proviamo a sintetizzarla?
«Raggruppare le qualificazioni in una o due finestre internazionali e lasciare per il resto della stagione i giocatori con i loro club: meno interruzioni dei campionati, meno viaggi per i giocatori. Ci sarebbero meno giorni per le nazionali durante l’anno, ma si creerebbe lo spazio per una grande competizione alla fine della stagione, Mondiale o Europeo. E poi un periodo di riposo obbligatorio di 25 giorni per i giocatori prima dell’inizio della nuova stagione».
Così non perderanno di valore le nazionali?
«Io propongo di "pulire" il calendario ed eliminare le partite che hanno perso significato. Un modo più moderno di organizzare il calcio».
È quasi una battaglia tra rivoluzionari e conservatori.
«Non credo che ci sia una battaglia qui. Anzi, questa proposta può rendere felici tutti: i giocatori, i tifosi, i club, le leghe, le squadre nazionali. C’è bisogno però di una discussione a livello politico perché la riforma vada in porto».
Ma per molti è un’offesa alla tradizione.
«Tradizione non vuol dire rimanere immobili. La Coppa del Mondo ogni quattro anni è stata pensata un secolo fa. Aveva senso allora, a causa dei viaggi, ma i tempi sono cambiati. Che senso hanno qualificazioni spalmate su due anni? Il Mondiale resterebbe l’apice della carriera di un giocatore e la più grande fonte di passione per i tifosi».
Eppure tra i maggiori critici ha la Uefa e la Conmebol del Sudamerica.
«Non vedono il quadro completo. Da 20 anni, nelle fasi finali del Mondiale si affrontano quasi sempre squadre europee e sudamericane e hanno sempre vinto le europee. Le altre non giocano queste partite, quindi non hanno la possibilità di colmare il divario. Una Coppa del Mondo più frequente darebbe loro più possibilità di partecipare e uno stimolo a investire sui giovani. Tante persone che ammiro e stimo, giocatori e allenatori, sostengono questa visione. E chi all’inizio era contro, dopo averne parlato mi ha detto di vedere più vantaggi che lati negativi. Questo mi rassicura e incoraggia a continuare».
La guerra dei calendari non dimentica i campionati nazionali?
«No, con meno interruzioni avrebbero solo vantaggi».
Ma che ne pensano i calciatori?
«Abbiamo consultato un certo numero di top player e so che i giocatori preferirebbero disputare più partite importanti, piuttosto che amichevoli. Quasi tutti i migliori poi giocano in Europa: sudamericani, africani, asiatici devono volare per oltre 300 mila chilometri in quattro anni. I viaggi ripetuti, lo shock climatico, il jet lag, sono un peso enorme. La mia priorità sono i calciatori».
Si dice che il pubblico giovane segua sempre meno il calcio.
«È vero, le giovani generazioni hanno un modo diverso di seguire il calcio. Un tempo le amichevoli internazionali erano una grande cosa, oggi ai tifosi interessano poco. Idem le qualificazioni. Il pubblico vuole le gare a eliminazione diretta. Ho letto delle proposte di riforma per la Serie A, alcune delle idee hanno delle somiglianze con quello che penso io: meno partite ma più significative. Quindi non sono l’unico che ci sta riflettendo».
Perché la Fifa non si è fatta promotrice di regole per evitare l’indebitamento del calcio?
«Attualmente stiamo rafforzando regole per garantire che parte del denaro dei trasferimenti dei giocatori vada ai loro club di formazione. Ma le competizioni per club sono gestite a livello nazionale e di confederazione».
(Repubblica)
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