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Zanetti: “All’Independiente dissero che non potevo continuare a giocare. Fu dura, ma…”

Andrea Della Sala

Il vicepresidente dell'Inter ha parlato della sua infanzia e della sua carriera da calciatore

"Intervistato dal Veltroni sul Corriere dello Sport, Javier Zanetti ha parlato degli obiettivi dell'Inter, ma non solo. Anche della sua infanzia e dei suoi inizia da calciatore:

"Come comincia a giocare a calcio Javier Zanetti?

“In Argentina c’è una grandissima passione per il calcio, si comincia a giocare per strada. La mia infanzia l’ho vissuta in un quartiere molto umile di Buenos Aires. Con tutti i miei amici, figli dei vicini di casa, ci riunivamo in un campetto di terra battuta e lì abbiamo iniziato a dare i primi calci. Oppure li invitavo a casa mia, che non era abbastanza grande, però c’era un minuscolo cortile dove fingevamo un campetto e giocavamo”.

"E’ vero che la sua prima squadra si chiamava Disneyland?

“E’ vero: è stata un’idea di mio padre. Con i vicini di casa del mio quartiere hanno deciso di raccogliere fondi per fare un campo vicino casa mia. Era in questo piccolo club che si chiamava Disneyland e volevano farlo diventare non più in terra battuta ma di cemento. Ho passato tanti anni a giocare in quel campetto”.

"Che faceva suo padre di lavoro?

“Il muratore. Per questo gli venne l’idea di trovarsi con tutti i vicini di casa per fare i lavori alla nostra Disneyland. Mi ricordo che in un fine settimana hanno lavorato dalle sei del mattino alle otto di sera, per finire quel bellissimo campo di cemento. Papà era quello che guidava tutto il team”.

"Quando è diventato famoso e anche ricco, cos’ha regalato ai suoi?

“Ho vissuto molto da vicino tutti i sacrifici che avevano fatto mio padre e mia madre per non farci mancare nulla. Io ho un fratello più grande, i miei ci hanno permesso di studiare, giocare a calcio, di crescere sereni. Quando ho avuto il mio primo stipendio, sono tornato a casa e a cena ho detto loro: ‘Da adesso in poi non lavorate più’. E’ stata la cosa più bella che mi potesse capitare. Prima il sogno di diventare calciatore e poi poter dire loro: non lavorate più, adesso vi godete la vita insieme a me. E speriamo che io possa fare una lunga carriera, così mi accompagnerete, sempre”.

"Lei è andato all’Independiente però le hanno detto che era troppo debole fisicamente.

"“Io sono andato all’Independente perché sono tifoso di quella squadra, in Argentina. Ho iniziato a giocare a calcio lì, ma dopo cinque anni mi hanno detto che non potevo proseguire perché non crescevo. Il che era vero, la mia crescita era lenta. Sono rimasto molto male perché non me l’aspettavo. Sono rimasto fermo un anno, senza la possibilità di poter provare da un’altra parte. Così mi misi a lavorare in cantiere con mio padre. Un giorno stavo demolendo un muro, mio padre di ferma e mi dice: Tu cosa vuoi fare da grande. Il calciatore. E perché non provi ancora? E’ stato un segnale. Il giorno dopo ho parlato con l’agente di Talleres che mi ha fatto fare un provino e da lì è iniziata la mia carriera professionale. Avevo 14 anni e forse fare il muratore forse mi ha aiutato a irrobustirmi”.

"E’ vero che vendeva il latte contemporaneamente al calcio?

"“Sì in quella fase mi alzavo alle 4 del mattino perché distribuivamo il latte nei supermercati. Alle otto entravo a scuola, uscivo all’una e nel pomeriggio facevo gli allenamenti”.

"Quanto pensa abbia contato il sacrificio che ha fatto all’origine?

"“Tantissimo e conta tuttora. E conterà per sempre. Perché soltanto così io penso che riesci a dare valore a tutte le cose che ti capitano. Man mano che cresci riesci a capire il valore di tante piccole cose che magari diamo per scontate e che invece sono fondamentali. E questa educazione che mi hanno dato i miei è stata una cosa molto importante”.