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Zanetti: “Senza calcio avrei fatto il muratore. Il leader deve dare l’esempio. Con Cracco…”

In una lunga intervista al Corriere della Sera, il vicepresidente dell'Inter si racconta tra la sua infanzia e la ristorazione

Cosa avrebbe fatto Javier Zanetti se non fosse diventato un calciatore professionista? È lo stesso ex capitano dell'Inter a rispondere in una lunga intervista al Corriere della Sera. "Mio padre faceva il muratore. Da ragazzino l’aiutavo. Se non fossi diventato calciatore, proprio grazie a papà e a uno zio che hanno ricavato un campetto da calcio nel quartiere dove abitavamo, per evitare che giocassimo in strada, avrei continuato a lavorare con lui. Costruire mi piace".

Qual è il piatto del cuore con cui è cresciuto?

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«La mia infanzia profuma di asado. Mamma era argentina, ma lo preparava papà, di origini italiane. Da noi sono gli uomini che si dedicano a questo rito che fa stare bene assieme. Cucinare l’asado insegna la pazienza, la dedizione, non è un semplice piatto. Lo so fare anch’io, ho imparato guardando papà mentre girava e guarniva la carne accanto al fuoco della brace, chiacchierando con gli amici. Che argentino sarei, sennò».

C’è differenza tra capitanare una squadra come l’Inter e guidare i talenti di cuochi e personale dei suoi ristoranti? Una brigata di cucina in fondo somiglia allo spogliatoio.

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«Il leader deve dare l’esempio, il segreto è tutto qui, in campo o in un ristorante. Contano solo i fatti. Non puoi predicare il senso del dovere e presentarti al lavoro per ultimo. Certo bisogna scegliersi le persone giuste, creare un gruppo coeso, una grande squadra. Direi che ci sono riuscito».

Perché ha deciso di investire nella ristorazione proprio a Milano?

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«Perché mancava, fino a qualche anno fa, il profumo della carne arrostita che a Buenos Aires senti a ogni angolo. Così ho cominciato con El Gaucho, un posto per gli argentini, il nostro quartier generale dove ritrovarsi tra amici. Poi è arrivato El Botinero e, da qualche settimana, El Patio del Gaucho, decentrato, in una location molto bella, formata da tante terrazze. Mi piace vedere la gente che si diverte nei miei locali, posti non formali, vivaci pezzetti di Argentina». 


Tra i grandi chef italiani, per esempio Cracco, Bartolini, Cannavacciuolo, Oldani, c’è qualcuno diventato amico?

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«Conosco tutti. Da Cracco andiamo spesso perché facciamo le cene dell’Uefa. Mangiamo benissimo, ma parliamo più di calcio che di cucina, anche con Carlo». 

Per l’impegno nel sociale da 15 anni con la sua Fondazione Pupi, dove ha l’appoggio fondamentale di sua moglie Paula, lei ha ottenuto un Ambrogino d’Oro. La ristorazione può essere d’aiuto in questa benemerita attività?

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«Senz’altro, con cene e feste nei nostri ristoranti raccogliamo fondi da destinare ai più fragili. Focus i bambini in difficoltà, i più deboli. Sono il nostro futuro. Voglio aiutarli a realizzare i loro sogni. Anch’io ne avevo uno e per fortuna ho potuto realizzarlo». 

Ha mai parlato con il compatriota Papa Francesco?

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«Sì, sono andato a trovarlo. È una persona alla mano, mi piace molto». 

Chi le piacerebbe invitare in un suo ristorante per conoscerlo di persona?

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«Il pilota Lewis Hamilton, mi incanta quello che fa con la Formula Uno, lo inviterei a mangiare un bell’asado».  

(Corriere della Sera)