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Un quarto di secolo dopo, Simone siede sulla panchina dell’Inter finalista di Champions a Istanbul e sta per affrontare il City di Guardiola, una delle due squadre più ricche del mondo, la più forte del momento. Con gli Inzaghi la vita e il calcio sono stati generosi e democratici, in un curioso gioco del destino e della fantasia: a Pippo hanno consegnato il talento del grande goleador, togliendo un po’ di fortuna all’allenatore; a Simone è toccato il contrario. Entrambi si sono meritati quello che si sono presi.
Confesso di aver pensato spesso che Pippo e Simone fossero una sola persona ma con due caratteri. Come tali si sono sempre comportati, invidia mai: ho letto quello che Pippo ha detto a Giordano del fratello, non una sola battuta mi ha sorpreso.
Da calciatore, Simone ha vissuto momenti anche difficili, di irresolutezza. Non immaginavo che da una crisi personale potesse uscire un uomo compiuto e un tecnico vincente, la cui dote principale è l’autocontrollo, associato a una notevole determinazione.
Arrivato sulla panchina della Lazio quasi per caso - era destinato alla Salernitana, soltanto il dietrofront di Bielsa gli aprì le porte della serie A -, Simone non ha fatto questioni, ha lavorato ed è maturato molto in fretta c onfrontandosi e anche battagliando o lamentandosi con Lotito e Tare, una sorta di master in psicologia del calcio, o forse in psicanalisi. Anche all’Inter è stato la seconda opzione - Allegri la prima - ma ha dimostrato di essere una scelta centratissima.
Tiferò per lui. Perché ha una bella storia semplice ed è un professionista che, fedele a un nucleo preciso di elementi e certezze, ci ha creduto e ancora ci crede. Certo, ha trovato in Giancarlo, Marina e Pippo i dirigenti più vicini e presenti.
PS. Quel che temo stasera è il nuovo Guardiola: è molto cambiato, è più fatalista e non cerca più di stupire il mondo. Per lui ora esiste anche l’avversario.
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