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Zenga: “Mihajlovic un fratello. Una persona buona, di cuore: pochi come lui”

Fabio Alampi

L'ex portiere dell'Inter e della Nazionale ha voluto ricordare il suo grande amico e compagno di squadra, scomparso ieri all'età di 53 anni

Walter Zenga, in un'intervista concessa a La Stampa, ha voluto ricordare il suo amico Sinisa Mihajlovic, scomparso ieri all'età di 53 anni: "Sinisa era già davanti alla telecamera e mi fa "cosa fai li, vieni che commentiamo insieme". Intervengono da Sky in studio: "non si può, c'è il Covid". E Sinisa "e chissenefrega, hai paura tu Walter?". "Io? Ma figurati, ho paura solo di te". Così mi dà uno dei suoi auricolari e ci mettiamo attaccati a commentare e punzecchiare su ogni azione. È uno degli ultimi ricordi con lui ma sintetizza bene il rapporto di una vita intera: schietto, affettuoso, ironico, anti retorico".

Come definirebbe la vostra amicizia?

"Lui aveva detto una volta che ero il suo fratello maggiore e io l'ho sempre vista così, da fratello maggiore a minore anche se di pochi anni. Di certo siamo sempre stati vicini: abbiamo giocato insieme, allenato in staffetta a Genova, Catania e Belgrado, vissuti vicini a Milano, ci siamo sfidati, aiutati, provocati, presi in giro un mare di volte. Non ho parole per dire la sofferenza di sapere che non c'è più, ho avuto le lacrime tutto il giorno e ce l'ho ancora adesso".

Com'è iniziato tutto?

"Alla Samp nel biennio 1994-96 quando lui era partito terzino sinistro e poi spostato centrale. L'allenatore era Eriksson. Tra un portiere e il suo centrale nasce sempre un rapporto, nel nostro caso c'era anche il carattere: ci piacevano le stesse cose, così ci siamo trovati da subito".

Passava per sergente di ferro, lo era?

"Quando mai! Se c'era una persona buona, di cuore, era lui. Poi che discorsi, era un serbo tutto d'un pezzo e considerava la squadra la sua famiglia e guai toccargliela. Tutte le volte che lo avete visto perdere le staffe e scontrarsi con qualcuno era per il senso di appartenenza, l'orgoglio, la difesa dei suoi. Ma la durezza, la cattiveria è un'altra cosa".

La prima cosa di lui che le viene in mente?

"Direi la generosità".

Un esempio?

"Quando sono andato ad allenare la Stella Rossa, a Belgrado, se non fosse stato per lui che mi ha aiutato ad inserirmi non so se ce l'avrei fatta. Se gli chiedevi una mano, lo trovavi sempre. Io ho fatto per lui la stessa cosa a Catania ma lui aveva meno bisogno del sottoscritto".

Quando vi siete sentiti l'ultima volta?

"A inizio mese poi non me la sono più sentita, sapevo che era peggiorato e soffrivo troppo. Uno battagliero come lui non riesci ad accettare che non vinca".

È stato meglio da giocatore o da allenatore?

"Non entro nel giudizio, sono troppo coinvolto emotivamente. Per me è stato fortissimo da giocatore, come prova la sua carriera, e un grandissimo pure da allenatore, perché se non sei bravo non finisci su tante panchine in Serie A. Però sfatiamo il mito di Sinisa tutto carattere e grinta: queste sono doti che aveva ma era soprattutto un grandissimo conoscitore di calcio e un uomo intelligente e sensibile. Mancherà al nostro calcio, ce n'è poca gente come lui".