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Zoro: “Lukaku? Non meritava l’espulsione. Per il razzismo servono provvedimenti drastici”

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Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex calciatore del Messina Marc Zoro ha parlato dell'espulsione di Lukaku e del razzismo

Andrea Della Sala

Intervistato da La Gazzetta dello Sport, l'ex calciatore del Messina Marc Zoro ha parlato dell'espulsione di Lukaku e del razzismo nel calcio italiano. L'ivoriano era stato protagonista in un Messina-Inter: colpito da cori razzisti aveva fatto fermare il gioco.

Zoro, l’ultimo caso all’Allianz: nel mirino è finito Lukaku.

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«Ognuno reagisce a modo suo. È chiaro che se giochi davanti a cinquantamila persone, e i tifosi iniziano a fischiarti, a fare il verso della scimmia e a tartassarti con quei maledetti buu razzisti, allora qualcosa scatta. Io a Messina sono esploso. Ero vicino alla linea di fondo, ho sentito di tutto e non ci ho visto più».

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Bandire a vita chi fa cori razzisti può essere la soluzione?

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«Forse no. In fondo anche gli ignoranti hanno diritto a una seconda chance. Io vorrei che queste persone riflettessero su quello che fanno. Sulle conseguenze che un gesto simile può avere non solo nelle loro vite, ma soprattutto in quelle degli altri».

Quale potrebbe essere la giusta via, allora?

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«Provvedimenti durissimi. Intanto tenere fuori queste persone, magari per qualche anno, in modo che possano capire cos’hanno fatto. E poi chiudere lo stadio per almeno un mese».

Non solo la curva della squadra, quindi.

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«Serve una soluzione drastica. Prima un mese, poi due, poi tre. Ogni volta che qualcuno si rende protagonista di questi gesti, come i versi della scimmia o gli insulti, si chiude tutto l’impianto e poi si ricomincia da capo. È questione di educazione, di rispetto e soprattutto di cultura».

Che ne pensa dell’espulsione di Lukaku?

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«Non meritava il cartellino rosso. Ha solo risposto a una provocazione ben più grave».

Inter Lukaku

Davvero non è cambiato nulla da quel Messina-Inter?

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«Gli imbecilli ci saranno sempre. L’Italia non è un paese razzista, assolutamente. Ho vissuto anni meravigliosi. Senza lo scout che mi notò in Costa d’Avorio non sarei mai diventato calciatore. Ricordo ancora i gradoni di Zeman a Salerno, la promozione in Serie A con il Messina nel 2004 e il magico San Filippo, che per me vale più del Santiago Bernabeu. Non c’è stato un altro stadio, in Italia, dove mi sia sentito più felice. I razzisti sono pochi e vanno combattuti con ogni mezzo. L’unico problema è che purtroppo esistono persone poco intelligenti».

Il suo gesto ha cambiato la percezione delle cose.

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«Il razzismo è un cancro da estirpare con la forza, a testa alta, senza mai abbassare la testa. Nel 2005 avevo 22 anni e scelsi di fare così. Non potevo sopportare che a Messina, a casa mia, ci fosse qualche idiota pronto a insultarmi. Quindi ho preso il pallone. Fu un gesto istintivo».

Questione di coraggio. E non se n’è mai pentito.

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«Mai. Lo rifarei a occhi chiusi».

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